Istanza di rimborso e prescrizione

COMMENTO

Premesse. La Commissione tributaria regionale di Firenze, con la sentenza sopra riportata, ha confermato la sentenza dei primi giudici, statuendo che, in conformità al consolidato orientamento della Suprema Corte, il reddito degli immobili storici o artistici concessi in locazione è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale il fabbricato è ubicato.
La Commissione regionale di Firenze, prendendo posizione su un’eccezione preliminare proposta dall’Ufficio nel giudizio di primo grado, ha inoltre trattato un argomento di interesse e di pratica applicazione: il termine di decorrenza per proporre istanza di rimborso di tributi diretti nel vigente sistema di autotassazione, basato sul meccanismo dei versamenti in acconto ed a saldo.
E’ da questo argomento che muoveremo nel commentare la sentenza in esame.
Il termine previsto dall’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973 decorre dal giorno del saldo dell’imposta dovuta e non da quello del (provvisorio) versamento degli acconti. L’Ufficio eccepiva la mancata tempestività della domanda di rimborso del contribuente in relazione al versamento della prima rata di acconto per l’anno 1995, per essere invano decorso il termine previsto, a pena di decadenza, dall’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973.
Secondo l’Ufficio, nella fattispecie, tale termine decorreva non già dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi, e quindi dal momento del versamento del tributo a saldo, bensì dal momento del versamento dell’acconto, trattandosi di inesistenza dell’obbligo di versamento ovvero, come rilevava l’Ufficio, di “condizione soggettiva di esenzione dell’imposta […] per la quale il versamento, già nel momento in cui fu eseguito, si prospettava non dovuto perché (asseritamente) non conforme alla legge”.
Prima di soffermarsi sull’esatta ricostruzione della fattispecie e sulla sua corretta qualificazione giuridica, possiamo così sintetizzare l’orientamento della Suprema Corte nella materia qui trattata: a) il termine per proporre istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973 decorre dal giorno del versamento dell’acconto ove, a tale data, il versamento non sia dovuto, o non sia dovuto in quella misura; b) il termine in oggetto decorre invece dal giorno del versamento del saldo se il diritto al rimborso derivi da un’eccedenza di versamenti in acconto rispetto a quanto dovuto in sede di saldo o, più in generale, da versamenti cui inerisca carattere di provvisorietà, come tali subordinati alla successiva e definitiva determinazione dell’an e del quantum dell’obbligazione tributaria .
Nel caso in esame, la fattispecie non pare riconducibile alla prima delle due categorie sopra indicate, così come invece operato dall’Ufficio, ove si consideri che il contribuente era tenuto al versamento dell’acconto proprio in conformità a disposizioni di legge (decreto legge n. 69/1989, convertito, con modificazioni, nella legge n. 154/1989): non poteva quindi parlarsi di “inesistenza dell’obbligo di versamento”, né di “condizione soggettiva di esenzione”.
Il contribuente, come detto, ha provveduto al versamento dell’acconto in conformità a disposizioni di legge, peraltro commettendo errore nel commisurare l’acconto ad imposta determinata – per quanto concerne i fabbricati vincolati concessi in locazione – non già con il criterio catastale previsto dalla L. n. 413/1991, bensì applicando il criterio “locativo”; di talché, una volta rideterminata l’imposta con il diverso criterio catastale, l’acconto versato è risultato superiore al tributo dovuto per il periodo d’imposta di riferimento ed è stata richiesta a rimborso l’eccedenza.
La fattispecie trattata dai giudici fiorentini pare quindi piuttosto riconducibile nell’ambito della seconda categoria delineata dalla Suprema Corte.
Considerato che il versamento in acconto dei tributi diretti viene effettuato a titolo provvisorio, in previsione di un’imposta che – verificatosi il presupposto di legge – si renderà certa, liquida ed esigibile al momento della presentazione della dichiarazione tributaria, concretizzandosi in tale momento l’an ed il quantum dell’obbligazione , è quindi dalla data di presentazione della dichiarazione che decorre il termine per la richiesta di rimborso del maggior tributo versato e non dovuto: è questa la corretta conclusione cui è pervenuta la Commissione tributaria regionale di Firenze con la sentenza in commento, che appare conforme anche al consolidato orientamento della giurisprudenza di merito su questo argomento .
La tassazione del reddito degli immobili di interesse storico o artistico concessi in locazione fra criterio catastale e criterio “locativo”. Com’è noto, l’Amministrazione finanziaria ritiene che il criterio “catastale” previsto dall’art. 11, comma 2, della L. n. 413/1991 si applichi ai soli immobili vincolati non concessi in locazione, ritenendo che per quelli locati valgano le ordinarie regole previste dall’art. 34 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in base ai canoni di locazione .
Per contro, la dottrina , la giurisprudenza di merito ampiamente prevalente e la Corte di Cassazione, con orientamento consolidato , muovendo dalla formulazione letterale dell’art. 11, comma 2, della L. n. 413/1991 – ed in particolare, dalla locuzione “in ogni caso” –, ritengono che anche per gli immobili vincolati concessi in locazione valga il criterio impositivo della rendita catastale di cui al predetto art. 11, comma 2, con l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale l’unità è ubicata, trovando tale norma il proprio fondamento nella tutela di cui è meritevole – secondo il dettato della Carta Costituzionale – il patrimonio storico ed artistico del nostro Paese.
Tale norma intende infatti tutelare le ragioni dei proprietari degli immobili di interesse storico “gravati da un complesso di oneri che da un lato compromettono la capacità contributiva e dall’altro limitano la disponibilità e la commerciabilità dei predetti immobili [...]. Risulta pertanto evidente che la norma in esame, unitamente a quelle già operanti, è stata dettata dall’esigenza di assicurare la tutela della conservazione e della manutenzione del patrimonio artistico nazionale, attraverso l’attività dei privati ed a loro spese, sotto specifiche comminatorie di legge, ma anche con l’attribuzione di agevolazioni fiscali” .
Tra le argomentazioni difensive dell’Amministrazione finanziaria assume particolare interesse, a parere di chi scrive, quella che muove dalla nuova disciplina delle locazioni abitative di cui alla L. 9 dicembre 1998, n. 431.
L’art. 8, comma 1, combinato con l’art. 1, comma 2, lettera a), della legge predetta dispone che il reddito degli immobili, anche vincolati, situati in comuni ad alta intensità abitativa e locati con contratti non transitori stipulati in conformità alle disposizioni previste dall’art. 2, comma 3 (contratti cd. ”convenzionati”), è determinato ai sensi dell’art. 34 del Tuir, con una riduzione del 30%.
Secondo l’Amministrazione finanziaria, il fatto che il menzionato articolo 8 richiami espressamente il criterio “locativo” di cui all’art. 34 del Tuir induce a ritenere che tale criterio valga, quale ordinario criterio di tassazione, anche per gli immobili vincolati concessi in locazione al di fuori dell’ambito di applicazione della L. n. 431/1998.
Quale sarebbe la ratio dell’agevolazione prevista dall’art. 8, comma 1 – deduce l’Amministrazione –, se l’ordinario criterio di determinazione del reddito degli immobili vincolati locati fosse quello, in generale, più vantaggioso previsto dall’art. 11, comma 2, della L. n. 413/1991 ?
Questo rilievo è stato affrontato – e superato – dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 12790 del 19 ottobre 2001 .
La Corte, con tale decisione, ha ritenuto di non modificare il proprio orientamento neanche a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 431/1998, poiché “la disciplina stessa si pone su un piano squisitamente civilistico, finalizzata alla “apertura” del mercato immobiliare locativo, sia, e conseguentemente, perché essa non incide in alcun modo, nemmeno ermeneuticamente, sulla regolamentazione contenuta nell’art. 11, comma 2, della L. n. 413 del 1991, così come interpretato da questa Corte” .
La Suprema Corte, con la sentenza suddetta, nel ribadire l’applicabilità dell’art. 11, comma 2, della L. n. 413/1991 anche dopo l’entrata in vigore della nuova legge sulle locazioni abitative, ha circoscritto la portata e gli effetti dell’art. 8, comma 1, della L. n. 431/1998 al solo ambito di applicazione della stessa legge, negandole ogni possibile valenza interpretativa della norma prevista dall’art. 11, comma 2, della L. n. 413/1991, con ciò cogliendo anche – riteniamo – l’intento del legislatore che, in data successiva all’entrata in vigore della L. n. 431/1998, in un quadro generale di riforma in materia di tassazione degli immobili (oltre quindi l’ambito civilistico nel quale opera la L. n. 431/1998), ha ritenuto di recepire e confermare proprio i principi che hanno ispirato la disposizione di cui all’art. 11, comma 2, della L. n. 413/1991 .
Peraltro, non può certo dirsi che la L. n. 431/1998 abbia contribuito a fare chiarezza sull’argomento.
Male si concilia, in effetti, la disposizione prevista dall’art. 11, comma 2, della L. n. 413/1991 con la disposizione di cui all’art. 8, comma 1, della L. n. 431/1998: il criterio prescelto dal legislatore per agevolare le locazioni abitative cd. “convenzionate” sarebbe infatti – nella più ampia maggioranza dei casi – peggiorativo rispetto all’ordinario criterio di tassazione, con evidente incongruenza nel sistema.
E se questo impasse fosse riconducibile ad una sua scelta legislativa – come dire – un po’ “distratta”, improntata, com’è stata, a finalità civilistiche di regolamentazione del mercato delle locazioni abitative, che ha inclinato l’unitario insieme del sistema tanto da far ritenere la Suprema Corte, invero laconicamente, che tale normativa “non incide in alcun modo, nemmeno ermeneuticamente, sulla regolamentazione contenuta nell’art. 11, comma 2, della L. n. 413 del 1991”?
Conviene allora attendere, se non un definitivo e chiarificatore intervento legislativo, almeno l’ulteriore evoluzione della giurisprudenza.

Lorenzo Gambi
dottore commercialista in Firenze

 

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